Pippo Civati – Estragon Bologna – 1° dicembre By Mauro Magnani

Non poche volte si legge su libri, si assiste a proiezioni di film circa il sogno dell’uomo di viaggiare nel tempo: nel futuro per scoprire cosa ci accadrà e nel passato per poter vedere e capire gli eventi che hanno costruito la società nella quale ora viviamo. Non ero al corrente, povero quale sono, che fosse sufficiente salire sull’auto, percorre poco più di trenta chilometri e, dopo un po’ di tangenziale, entrare nella macchina del tempo. L’apparecchio ha una  forma che non ti aspetti: appare come un capannone industriale dismesso, con un ampio ingresso laterale e dentro è pieno di luce, ben riscaldato e molto rumoroso, data la presenza di almeno duemila persone.

Un po’ di sedie qua e là, un banco mescita di vino rosso (se leggo bene Civino, mai sentito) e là, sul fondo, un palco illuminato, con tanto di microfoni e sedie per gli ospiti. E’ lassù, su quei legni che il tempo sta viaggiando all’indietro, di almeno trenta … no forse di quarant’anni: posso ascoltare distintamente un Pajetta arrabbiato come non mai, un Amendola calmo, riflessivo ma lucidissimo, un ..ma è proprio lui?! Si un Enrico Berlinguer con quel suo sorriso aperto e franco fortemente contrastante con le tante profonde rughe che tracciano i contorni dei suoi occhi e poi, là, più lontano, quasi in un angolo, distinguo nettamente il mio corsivista preferito, quel Fortebraccio che mi manca tanto con i suoi “lor signori” e le sue storie di colera e di cozze (se siete troppo giovani per capire non è colpa vostra!). Poi ancora vedo un Foa non ancora ingobbito e un Trentin più serio che mai!

Quando però i miei occhi si sono abituati al forte contrasto di luce, proprio mentre mi sentivo trasportato indietro nel mio tempo, il tempo nel quale ancora sognavo e vedevo una vita molto luminosa e serena per mia figlia, per tutti i figli di questa nostra terra, che si stava preparando, quando sentivo ancora dentro di me il forte desiderio di partecipazione alla vita della società ecco che le figure sul palco cambiano, ora sono giovani con jeans e maglietta, giacche senza spalline e camicie con il colletto sbottonato, ragazze giovani, donne più mature, donne di oggi ma anche qualche attempato con un residuo di grinta dentro da far paura che si alternano sul palco, davanti al microfono. Tuttavia sta accadendo una cosa molto strana: posso ascoltare distintamente le stesse parole, le stesse identiche frasi, rivedere i gesti e gli sguardi profondi e sinceri che mi colpivano tanti anni fa e che ora mi inchiodano alla sedia. Ascolto, quando lo scrosciare degli applausi me lo consente, frasi che parlano di stop al consumo del territorio, basta con le telefonate dell’amministratore della cooperativa che vuole costruire un’altra casa, basta con la prepotenza e l’invadenza dei pochi a discapito dei molti, che è ora di finirla con il non ascoltare l’elettorato, che siamo stati traditi perchè ci avevano promesso una cosa e ne hanno fatto un’altra, che vogliono conoscere uno per uno tutti i nomi di quei centouno (ma quali centouno? mi chiedo da ignorante quale sono), che è ora di finirla di parlare dei diritti dei lavoratori per cominciare a parlare dei diritti di tutti, che lo stato deve essere laico e basta, che le cose devono essere chiamate con il loro nome, nomi come matrimonio al posto di unione, perchè chiamare le altre unioni è come creare cittadini di uno stato diverso, di una condizione diversa, di una natura diversa, insomma “diversi”. E poi numeri, cifre che fanno accapponare la pelle e che vorremmo dimenticare: percentuali di PIL per spese militari più alte in Italia che non in Germania e Francia, spese per la politica che superano di 17.000.000.000 di € (lo scrivo in cifre così il numero sembra più lungo) quello che l’Inghilterra ha speso per mantenere la Regina e tutto il resto dal 2001 ad oggi, poi le cifre che quantificano la corruzione e l’evasione, un coro di risate quando si accenna all’impossibilità di ridurre la circolazione del contante e della difficoltà che i pensionati incontrano utilizzando il bancomat. Poi dal fondo compare un ometto con i capelli bianchi e viene accolto con un boato di pubblico: ma io l’ho già visto! Ma SI è Corradino, il Mineo di RAI news: dice che per superare il ventennio occorrono i ventenni e non quelli come lui con i capelli bianchi. Ha lo stesso sorriso di sempre e la parola “cattiva” che tanto ci piaceva ascoltare da lui! Viene sostituito da una figura longilinea con una chioma bionda: Casson, una volta magistrato è ora con noi. Ma non capisco: un magistrato che parla di scorie, scorie che le fonderie gettano e fa i nomi di Alfano, Sacconi, Quagliariello, Cicchitto, Schifani e tanti altri: parla di scorie fasciste che stanno insieme a noi e che è ora di dire basta. Ora viene assemblato sul palco una scena che ricorda quello che vediamo il sabato e la domenica sera su RAI TRE; un tavolo squadrato e una poltrona mentre sullo schermo poco più indietro compare il viso di Fazio e la voce di quella svizzera altissima ed inossidabile: sulla poltrona viene a sedersi un ometto sui quaranta, grigio vestito, un po’ di barbetta con due occhi che ti forano. Pippo, lo chiamano. Ringrazia Fazio per averlo invitato … almeno qui e giù botte da novanta circa l’azzeramento della classe dirigente del partito (quale partito mi chiedo?), l’intenzione di passare a trovare ed iscrivere persone come Romano Prodi (sempre allo stesso partito con una tessera d’oro: boh!) e di voler telefonare a Rodotà per chiedergli scusa (ma di che?, mi chiedo da ignorante quale sono). Poi ecco arriva sulla scena un a ragazzina bionda, spettinata e sdrucita, sembra di fretta. Porta con sè una grossa bottiglia di acqua minerale e …ma questa l’ho già vista! Ma si, a Castel San Pietro Terme, quella sera con la nebbia fuori e il calore dentro, quando c’era anche la Puppato! Quale Puppato? Ma Laura, quella che si paga le spese delle trasferte politiche da sé come fanno i consiglieri regionali (le minuscole non sono un errore!!) della nostra Emilia, quella che mi disse di non capire in quale parlamento si trovava a discutere. Ricordo che questa esile ragazzina mi prese per un braccio e mi trascinò lontano per fare due chiacchiere con me: mi aveva scambiato per un giornalista importante ma io stetti al gioco. La forza con la quale mi portò con sè era nulla se paragonata alla forza delle sue parole, alla determinazione quando affermò di voler combattere da dentro e che era ora di riprendersi tutto quello che altri ci avevano tolto. Fui preso, lo ricordo bene, da un forte impulso di abbracciarla, di stringerla contro di me, di trattenerla così per vedere se un po’ della sua forza e del suo coraggio fosse riuscita ad entrare in me per soppiantare tutta la ruggine dell’abitudine, del compromesso, della vita a testa bassa: mi trattenni come spesso è accaduto nella mia vita all’ombra di altri che decidevano per me. E poi, tutto sommato sarebbe stato sconveniente: un vecchiaccio … Ma ecco che torna Pippo (anche uno degli ultimi “birocciai” di Imola si chiamava così e il suo cavallo rispondeva al nome di Gino!) e ripetendo le parole che tanti altri hanno detto prima di lui vuole ringraziarli, per il lavoro svolto, per l’attività politica porta a porta (non quella di Vespa!), per il coraggio e la determinazione che tutti insieme abbiamo, per la forza che avremo per cambiare le cose che così proprio non vanno! Dice che un domani non lontano, lui non ci sarà più, di stare certi che non sarà piazzato in qualche municipalizzata, ma che le nostre, le vostre idee ci saranno ancora. Eccome se ci saranno! Porta sul palco anche sua moglie, una giovane signora e lì, sotto gli occhi di tutti si abbracciano a lungo tra gli applausi: Porca vacca! Mi piace poi questa scena!! Dice, Pippo, che sua moglie gli ha chiesto di voler andare in ferie e che la destinazione deve essere un posto dove “… non siamo mai stati”. Vieni, le ho risposto, ti porto in Italia! Se c’è un posto vengo anch’io!

Beh, adesso il gioco è finito e la macchina del tempo ha spento le luci: me ne vado verso un’altra macchina, quella su ruote, molto più normale e classica. Torno a casa. Però! Chissà, con tutte le diavolerie che inventano inventeranno anche questa: spingi un bottone e scegli, avanti nel futuro e indietro, nel passato, quello che è stato. Indietro per capire e avanti per non sbagliare più. Come dite? Tocca a noi costruirla? Non sento bene? State suggerendomi di telefonare a Letta per informazioni? Quale Letta, il vecchio o il più giovane? Come dite? E’ lo stesso! Cominciamo intanto a tirarci su le maniche e verificare di avere le idee chiare in testa, poi il resto verrà da solo. Dobbiamo esserne certi!

Mauro Magnani

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